maggio 2022
Focus interno vs focus esterno nell’allenamento contro resistenza

L’esperienza di numerosi bodybuilder di successo suggerisce come, per svolgere un allenamento efficace, non sia sufficiente limitarsi a spostare semplicemente un carico, ma sia essenziale concentrarsi nel contrarre volontariamente il muscolo target.
Molti trainer, di conseguenza, si affidano a tale ipotesi e sottolineano l’importanza del focus mentale durante l’esercizio ogni qual volta un cliente si lamenti di non sentire lavorare a sufficienza il muscolo interessato. Ma è davvero così? Porre attenzione sulla contrazione di un muscolo anziché sulla “semplice” movimentazione del carico incrementa davvero la stimolazione muscolare e favorisce di conseguenza l’ipertrofia?
Esiste una relazione tra l’attivazione volontaria dei muscoli coinvolti nell’esercizio e la crescita muscolare?
La risposta sintetica a questa domanda è: “da recenti studi parrebbe di sì”. Cerchiamo quindi di capire come la nostra attenzione durante l’allenamento possa incidere sulla resa dello stesso.
Il focus attentivo
Si possono distinguere due tipologie di focus verso cui indirizzare la propria attenzione:
- interno, quando l’attenzione è rivolta su se stessi e ci si concentra sulla contrazione volontaria dei muscoli impiegati nell’esercizio o sul movimento che l’articolazione sta compiendo intorno al proprio fulcro;
- esterno, quando l’attenzione è rivolta all’ambiente circostante, in particolare alla movimentazione del carico lungo la sua traiettoria nello spazio.
Dagli studi svolti, sembrerebbe che il focus esterno fornisca un maggior vantaggio prestativo, permettendo la produzione di valori di forza massima superiori nel caso di test massimali o l’esecuzione di un maggior numero di ripetizioni nel caso di test di resistenza. Le ragioni di questo effetto potrebbero essere attribuite ad un miglior controllo neuro-muscolare, il quale renderebbe il gesto più efficiente migliorando la performance. Questa ipotesi sembra essere confermata anche dalla stretta correlazione che intercorre tra il focus esterno e l’apprendimento motorio nel lungo periodo, per cui concentrandosi sul movimento si favorisce l’acquisizione e la consolidazione del gesto.
Il focus esterno sembra produrre maggiore forza e resistenza, favorendo così un miglioramento della performance.
Il focus interno, al contrario, pur conducendo ad una maggiore attivazione muscolare, come riscontrato in alcuni studi elettromiografici, tende a provocare una riduzione dei livelli massimi di forza e un aumento della fatica, limitando di conseguenza i livelli prestativi.
Tutto ciò potrebbe apparire molto strano, poiché sappiamo che una maggiore attivazione muscolare equivale a reclutare un maggior numero di unità motorie.
Tanto è vero che, quando dobbiamo sollevare un carico elevato, produrre un movimento rapidissimo o reiterare un movimento per molto tempo in condizioni di forte affaticamento, il mezzo che il nostro sistema nervoso adopera per soddisfare tali richieste è proprio l’aumento delle unità motorie reclutate.
Cercando di favorire il reclutamento attraverso un focus interno, sarebbe quindi presumibile attendersi un incremento della prestazione anziché una sua riduzione, eppure quello che si ottiene è il risultato opposto.
Pur favorendo la performance, la maggiore attivazione muscolare indotta dal focus interno in risposta ad allenamenti controresistenza si traduce in un maggior sviluppo dell’ipertrofia muscolare.
Il focus interno, nonostante tenda a diminuire i livelli prestativi, stimola al tempo stesso un maggiore sviluppo ipertrofico.
A questo punto occorre porsi due domande:
- Perché una maggiore attivazione volontaria della muscolatura agonista indotta da un focus interno produce una forza esterna uguale o addirittura inferiore a quando si adotta un focus esterno?
- Come mai una maggior attivazione volontaria stimolerebbe un maggior risposta ipertrofica?
Riguardo al primo quesito, la risposta dipende da tre aspetti:
- Quando si cerca di reclutare maggiormente un muscolo agonista, si tende ad indurre un aumento della tensione muscolare anche del suo antagonista. Di conseguenza, anche se il primo genera una tensione esterna maggiore, al netto di quella generata dall’antagonista in direzione opposta, la forza esterna risulterà comunque più bassa. In poche parole, è come premere il pedale dell’acceleratore fino in fondo, mantenendo il freno a mano inserito.
- Un movimento non viene mai svolto da un solo muscolo, ma da un insieme di muscoli detti sinergisti. Essi cooperano tra di loro secondo un preciso schema per eseguire il gesto il più efficacemente possibile. Concentrando la propria attenzione su un muscolo specifico, si altera il suo contributo compromettendo la coordinazione intermuscolare e quindi riducendo l’efficacia del movimento.
- Il decorso delle fibre di un muscolo può dare luogo a diverse aree, il cui apporto all’azione muscolare cambia a seconda della direzione del movimento svolto. Le regioni che più contribuiscono al movimento controresistenza verranno maggiormente attivate, a discapito di quelle che in tale circostanza apportano un vantaggio scarso o nullo. Ora, se volontariamente decidiamo di attivare anche le aree meno reclutate dal nostro sistema nervoso per svolgere un determinato gesto, pare ovvio che non si osserverà un miglioramento prestativo, ma al contrario si verificherà un’accelerazione dell’affaticamento neuromuscolare e una riduzione della prestazione.
In merito al quesito sulla relazione tra attivazione muscolare volontaria e ipertrofia, possiamo ora chiederci se uno o più degli aspetti appena descritti possa in qualche modo fornire una risposta.
Focus interno e ipertrofia
Abbiamo visto come un focus interno produca una riduzione della performance a causa di una maggiore attivazione della muscolatura antagonista (punto a), dell’alterazione della coordinazione muscolare tra sinergisti (punto b) e dal maggior affaticamento dovuto all’attivazione di quelle regioni muscolari non ottimizzate per eseguire l’azione richiesta dall’esercizio (punto c).
Perché quindi un focus attentivo interno produrrebbe una maggior risposta ipertrofica?
La risposta che stiamo cercando sembra sia da ricercare nel terzo aspetto sopracitato (punto c).
Quando eseguiamo un esercizio con un focus esterno, il contributo maggiore di forza proviene da quelle regioni muscolari la cui struttura risulta essere biomeccanicamente più efficiente nello svolgere quel determinato movimento. Di conseguenza, in virtù della loro maggior attivazione e stimolazione, lo sviluppo ipertrofico avverrà prevalentemente in queste aree.
Quando adottiamo un focus attentivo interno, invece, si vanno a reclutare anche quelle regioni che contribuiscono marginalmente all’esercizio che stiamo eseguendo e che il nostro sistema nervoso non coinvolgerebbe, perché sarebbe controproducente allo scopo di produrre una migliore performance. L’attivazione muscolare volontaria stimola quindi una risposta ipertrofica anche nelle porzioni di tessuto muscolare che non sarebbero state interessate adottando un focus esterno durante l’esecuzione dell’esercizio.
L’attivazione volontaria e focalizzata del muscolo target favorisce il coinvolgimento di un maggior numero di fibre.
Possiamo concludere affermando che focalizzare l’attenzione sulla contrazione piuttosto che sulla movimentazione del carico pare influire positivamente sullo sviluppo complessivo del muscolo. Ciò accadrebbe perché il focus interno determina il coinvolgimento di un’area più vasta rispetto a quella che si sarebbe potuta ottenere concentrandosi esclusivamente sul gesto atletico.
Tuttavia, se ora stai pensando di sfruttare unicamente un focus attentivo interno per massimizzare i tuoi risultati in palestra, valuta prima con attenzione il tuo livello.
Infatti, questo genere di approccio non è consigliato per neofiti o soggetti intermedi, poiché, a causa di affaticamenti neuromuscolari precoci, rischierebbe di pregiudicare l’apprendimento motorio del gesto e la crescita progressiva dei sovraccarichi, condizioni essenziali per lo sviluppo delle masse muscolari.
Il focus interno determina un maggiore affaticamento neuromuscolare e risulta quindi utile solo quando si ha una buona padronanza del gesto atletico.
Persone, invece, che ben padroneggiano la tecnica di esecuzione degli esercizi e possiedono un buon controllo motorio, possono iniziare ad introdurre questa tecnica gradualmente nelle prime serie di lavoro, dove i livelli di affaticamento neuro-muscolare sono ancora bassi. Con il tempo, saranno poi in grado di mantenere questo livello di attenzione dalla prima all’ultima ripetizione del proprio allenamento.
Fonti bibliografiche
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Mind-muscle connection training principle: influence of muscle strength and training experience during a pushing movement, J. Calatayud, J. Vinstrup, M. D. Jakobsen, E. Sundstrup, J. C.Colado, L. L. Andersen, European Journal of Applied Physiology, July 2017, 117(7): p. 1445–1452
Can using the mind-muscle connection enhance hypertrophy?, C. Beardsley, December 2018, https://sandcresearch.medium.com/can-using-the-mind-muscle-connection-enhance-hypertrophy-398de4687bd7